[:it]Salta la Web Tax italiana[:]

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È scaduto il 30 aprile il termine ultimo per la presentazione del decreto di legge

Nulla di fatto per la Web Tax. Ora la palla passa all’ Ue, dove i Paesi non sono tutti concordi

Dopo il grande subbuglio creato dall’inserimento, nella scorsa legge di bilancio, della Web Tax, ossia l’imposta al 3% del fatturato, ora tutto si conclude con un nulla di fatto. La manovra doveva essere avviata a partire dal primo gennaio 2019, con un ricavo previsto di 190 milioni, ma rimandava ad un decreto del Ministero dell’Economia da pubblicarsi entro il 30 aprile per la definizione degli ambiti di applicazione dell’imposta. Il tutto si è fermato, ancora una volta, davanti all’indecisione politica del nostro Paese. Senza un nuovo governo pienamente in carica, il Ministero rimanda l’attuazione della tanto discussa tassa, in attesa che venga presa una decisione condivisa a livello europeo.

In base a quanto leggiamo dalla legge di bilancio, la web tax colpirebbe le transazioni digitali “relative a prestazioni di servizi elettronici rese nei confronti di società di capitali e di persone, di imprenditori individuali, di artisti e professionisti, nonché delle stabili organizzazioni di soggetti non residenti, indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione”. In fase di approvazione l’Ufficio Parlamentare di Bilancio aveva espresso le proprie perplessità, evidenziando la disparità tra l’effetto della web tax sulle aziende italiane, per le quali sarebbe stata un ulteriore aumento del carico fiscale, e sulle multinazionali, per le quali sarebbe stata semplicemente un “micro-balzello del 3%” capace di metterle comunque in regola con l’ordinamento italiano senza interferire con la possibilità legittima di continuare a beneficiare delle aliquote ridotte applicate altrove.

Proprio di Web Tax si parlerà al prossimo Ecofin, a Sofia.
Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, i Paesi più colpiti dall’ “elusione online”, sono pronti a tassare i giganti del web, mentre Irlanda e Lussemburgo, in molti casi quartier generali delle multinazionali grazie ad una politica fiscale ad hoc, non vedono l’idea di buon occhio. Nasce quindi il problema del trovare un accordo comune, per scongiurare il pericolo di soluzioni “fai da te”, che getterebbero l’Europa nel caos e sarebbero controproducenti per le imprese nazionali dei singoli Paesi. C’è poi da considerare anche il delicato equilibrio con gli Usa, già incrinato in questo momento dalle minacce sui dazi, maldisposti verso una tassa che penalizzerebbe molte delle aziende americane. Sembra quindi che non sarà facile sbrogliare la matassa anche a livello Europeo.[:]