Mini-bot in Italia come Patacòn in Argentina

La favola delle valute parallele per pagare i debiti

Breve memoria del Pataccone argentino, la valuta parallela che mise in ginocchio il paese. Rischio per l’Italia: “i mini-bot sono carta straccia rispetto all’euro”.

Argentina 2001: paese fortemente indebitato, moneta forte ma casse vuote e l’economia in stallo. Onorare i creditori esteri, pagare i dipendenti pubblici, i pensionati e i fornitori di servizi alle pubbliche amministrazioni era diventato impossibile.

Poi un’idea brillante: il Patacon. Una banconota rosa che portava l’effigie di Dardo Rocha, governatore della capitale morto nel 1921, visionario dei lavori pubblici. Un buono d’emergenza tecnicamente chiamato anche «Lettera di tesoreria per la cancellazione delle obbligazioni», che avrebbero dovuto saldare i debiti pubblici. Una valuta parallela a quella ufficiale, germogliata in momenti di crisi, che avrebbe generato grandi speranze, poi inevitabilmente deluse.

I Patacones erano «papelitos pintados», niente di più di pezzi di carta colorati, che non avevano riserve nel Tesoro né erano basati su entrate fiscali. Furono prima usati per pagare le fatture dei fornitori. Poi gli stipendi dei dipendenti pubblici e le pensioni. Poi i commercianti cominciarono ad accettarli nelle loro trnsazioni, perché erano meglio di niente e il ministro dell’Economia aveva messo sotto controllo i conti correnti. Con i Patacones il cash flow era aumento, anche se solo artificialmente. L’illusione fu quella di avere in tasca più soldi che coprissero la perdita di valore reale della moneta, tanto più che il governo aveva promesso di riscattarli. Il creditore veniva saldato, lo Stato garantiva, e tutti i cittadini si spartivano il debito.

Ma non salvò il galeone dello Stato pieno di falle: i Patacones persero valore e chi li deteneva dovette accettare i nuovi pesos, che valevano molto ma molto meno. Fu il Patatrac. Fu solo la lenta ripresa economica, dal 2003, a riaggiustare almeno provvisoriamente la rotta.

Dall’Argentina all’Italia. Il nuovo dibattito sui minibot ha risvegliato quello antico sulle valute parallele. Teorizzati dai consiglieri economici di Salvini, approvati all’unanimità dalla Camera, i minibot sono stati bocciati dall’Ue.

L’ipotesi di usare i mini-Bot per pagare le tasse, è stata così commentata dal docente di Economia Tommaso Monacelli: “Non soldi per pagare non tasse? Se alla fine dell’anno il signor Rossi deve 100 euro di tasse, ma lo Stato gli comunica che può usare 100 minibot per pagarle, il signor Rossi risparmia 100 euro da spendere al ristorante, mentre lo Stato non incassa quei 100 euro dovuti di tasse, e deve quindi finanziare il deficit di entrate in qualche modo: o riducendo la spesa pubblica, oppure con maggior debito”.

Anche l’idea di usare i mini-Bot affinchè le imprese riscuotano i crediti che ancora vantano con la pubblica amministrazione non ha logica. Monacelli spiega: “se lo Stato deve 100 euro di pagamenti all’impresa del signor Rossi, ed emette un Bot da 100 euro, lo Stato paga un debito con un altro debito? Di fatto, lo Stato starebbe scambiando una passività (i pagamenti dovuti all’impresa del signor Rossi), con un’altra passività (i buoni del tesoro emessi per finanziarsi)”.

“Potrebbero” diventare moneta, spiega il Sole 24 Ore. “Ma per essere moneta, i minibot devono essere accettati nelle transazioni. Se il signor Rossi riceve 100 minibot dallo Stato e vuole utilizzarli per fare la spesa dal signor Bianchi, il signor Bianchi li accetterà solo se ha fiducia nel fatto che li potrà poi utilizzare per pagare il signor Verdi, e così via. Niente garantisce che questo collante di fiducia si verrebbe a realizzare”. Salvo che lo Stato non imponga la loro accettazione per legge.

Ma allora, conclude Monacelli, l’Italia avrebbe stampato una sua carta moneta con corso legale, e quindi, l’uscita dall’Euro. Lo scenario successivo è davvero da ‘Patacón’: minibot carta straccia rispetto all’Euro.