Gli Usa sbarrano la porta a Huawei

La reazione dell’Europa

La replica del colosso cinese: “Non ci servono gli Usa per diventare i primi al mondo”

Un piccolo villaggio affacciato sul mar cinese, con una manciata di case e pochi pescatori. Soltanto quarant’anni fa Shenzhen, Cina sud-orientale, era questo. Oggi è la Silicon Valley d’Oriente, una megalopoli da 20 milioni di abitanti e la base operativa da cui le aziende tecnologiche cinesi cercano di scalare i mercati globali. Su tutte Huawei. Fondata qui nel 1987 dall’ex ufficiale dell’esercito popolare cinese Ren Zhengfei, nel 2018 è arrivata a fatturare 105,2 miliardi di dollari, divenendo la più grande “minaccia” alla supremazia tecnologica degli Stati Uniti.

Huawei è una città nella città. Popolata da centinaia di palazzi e residenze, molte delle quali in mattoni in stile classico in onore ai più famosi quartieri europei, ospita 30mila dipendenti, per la gran parte ingegneri under 40. Ha un’università gratuita per i giovani più brillanti, un centro di ricerca e sviluppo da 1,3 miliardi, un lago, campi da basket, piscine e perfino un ospedale.

Una Disneyland della tecnologia la cui incredibile ascesa non ha portato solo gloria e incassi da record, ma anche nemici del calibro di Donald Trump. Dopo mesi di velate minacce, lo scorso mercoledì il Presidente americano ha firmato un ordine esecutivo che proibisce alle società statunitensi di utilizzare apparecchiature di telecomunicazione di “avversari stranieri” ritenuti un “rischio inaccettabile” per la sicurezza nazionale. Il bando di “emergenza nazionale” punta ad arginare il colosso cinese Huawei, accusato da Washington di spiare i governi occidentali avvalendosi di tecnologie di ultimissima generazione, primo fra tutte il 5G. Non solo. Gli Usa hanno anche invitato caldamente gli alleati a fare lo stesso. Pena il congelamento della condivisione dell’intelligence americana.

Una decisione che non ha colto di sorpresa i cinesi, la cui risposta non ha tardato ad arrivare.

“Limitare Huawei non renderà gli Usa più sicuri o più forti, ma servirà solo a limitare gli Usa ad alternative inferiori, ma più costose, lasciando in ritardo il Paese nella distribuzione del 5G”, si legge in una nota della compagnia cinese di Shenzhen. “Limitare Huawei dall’operare negli Stati Uniti danneggerà eventualmente gli interessi delle compagnie e dei consumatori americani. In aggiunta, le irragionevoli restrizioni violeranno i diritti di Huawei e solleveranno altre gravi questioni legali”.

Huawei non sembra affatto spaventata dalle minacce Usa. “Siamo un’azienda globale con operazioni in 170 paesi nel mondo. E ci amano tutti, tranne gli Stati Uniti. Diventeremo primi anche senza i mercati che ci escludono per ragioni politiche. Ci riusciremo quest’anno, o al più tardi all’inizio del 2020”, aveva detto senza mezzi termini Yu Chengdong, capo del ramo di Huawei che sviluppa gli smartphone e i prodotti per i consumatori.

Nel frattempo, lo stop ai colossi cinesi auspicato dalla Casa Bianca in Europa in vista della realizzazione della rete 5G, non ha avuto riscontri positivi. L’Italia è ferma sulle proprie posizioni di apertura alla Cina, complice l’accordo sulla via della Seta firmato a marzo. Francia, Germania e Olanda hanno già confermato il sì a Huawei per il 5G. Trump se ne faccia una ragione.