Fausto Coppi, l’icona che non tramonta

La leggenda dell’uomo solo al comando

La Cuneo-Pinerolo del 1949 è la storia del ciclismo italiano, a scriverla Fausto Coppi: l’Airone in fuga per 192 km

«Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste e il suo nome è Fausto Coppi». Con queste parole, rimaste scolpite nella storia, il cronista Mario Ferretti apriva la sua radiocronaca della Cuneo-Pinerolo, terz’ultima tappa del Giro d’Italia 1949.

Una tappa lunga 254 chilometri, con 5 colli alpini e dislivelli fino a 5000 metri. È la tappa più bella di sempre. E lo è grazie a un uomo “secco come un osso di prosciutto”, che avrebbe potuto limitarsi a vincere e invece decise di esagerare, di riscrivere i canoni di uno sport che resta impareggiabile per epica e culto della fatica.

È il 10 giugno 1949. L’Italia porta ancora addosso i segni della guerra e il dolore della tragedia di Superga, consumatasi solo poche settimane prima. Coppi arriva alla corsa rosa dopo aver vinto la terza Milano-Sanremo della sua vita e il Giro di Romagna, davanti a rivali di spicco come Magni e Bartali. È il favorito per la vittoria finale, eppure per sedici tappe non ha mai vestito la maglia rosa. Ma in quella tappa, la numero 17, la terzultima, è Coppi a cambiare per sempre la storia del ciclismo italiano.

Cinquanta chilometri circa già alle spalle, il gruppo è sul Colle della Maddalena, prima salita di una giornata indimenticabile. Fa freddo, le cime hanno il bianco della neve fresca. All’altezza di Argentera, Bartali si attarda per un problema meccanico. Coppi scatta come una molla. Al traguardo mancano 192 chilometri. Una macchiolina color bianco-blu si allontana sempre di più dal gruppo: inizia la fuga leggendaria dell’“Airone”.

Dino Buzzati, inviato dal Corriere al seguito del Giro d’Italia, racconta: “Era lurido di fango, la faccia grigia di terra e immota nello sforzo. Pedalava come se qualche cosa di orrendo gli corresse dietro e lui sapesse che a lasciarsi prendere ogni speranza era perduta. Il tempo, null’altro che il tempo irreparabile gli correva dietro. Ed era uno spettacolo quell’uomo solo nella selvaggia gola in lotta disperata contro gli anni”.

Coppi è inarrestabile. Dopo 192 km di fuga solitaria, Stringa, così lo chiamavano gli amici per la sua magrezza, taglia il traguardo con quasi 12 minuti di vantaggio sul mitico rivale Gino Bartali.

Coppi è un’invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta”, scriverà Gianni Brera il 27 luglio di quell’anno.