La Corte Ue all’Italia: “La Chiesa paghi l’Ici che non ha versato”

Gli arretrati devono essere recuperati

Lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa: è quanto hanno stabilito i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea

Con l’introduzione dell’Imu nel 2012, l’imposta sulla casa è applicata anche ai fabbricati di proprietà della Curia, esclusi quelli adibiti a luoghi di culto. Per esempio, mentre un’abbazia o un campanile sono esenti dal’Imu, un teatro parrocchiale o un residence gestito da suore sono tassati.

Che dire però della vecchia Ici? L’esenzione Ici riguardava tutti gli edifici della Chiesa, anche a quelli con finalità commerciali, come alberghi e ospedali. Ma poi ci fu un’indagine, condotta dalla Commissione Europea, che finì per definire l’esenzione riservata alla Chiesa “un aiuto di Stato irregolare”. Secondo quanto rilevato dalla Commissione, il “sistema italiano di esenzioni all’Ici concesse a enti non commerciali per scopi specifici tra il 2006 e il 2011 era incompatibile con le regole Ue sugli aiuti di Stato”, perchè conferiva di fatto “un vantaggio selettivo alle attività commerciali svolte negli immobili di proprietà della Chiesa rispetto a quelle portate avanti da altri operatori”.

Nonostante queste considerazioni però, fino allo scorso novembre, sia la Commissione Europea che i giudici dell’Ue avevano deciso di soprassedere sugli arretrati, esentando la Curia dal pagamento dell’Ici relativa al periodo 2006 – 2011, per “ragioni puramente tecniche”. Era stato infatti sancito che, vista la presenza di immobili a uso promiscuo destinati sia alle attività di culto che ad atri scopi, risultava tecnicamente impossibile calcolare retroattivamente il tipo d’attività (economica o non economica) svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali, e calcolare l’importo da recuperare, anche per la mancanza di dati catastali precisi.

Fino al Novembre 2018, quando la Corte di giustizia ha finalmente sancito come ingiustificato il velo steso sul passato. E così, dopo una lunga guerra di carte bollate, i giudici di secondo grado dell’Ue hanno ribaltato completamente l’orientamento precedente. Hanno scritto nero su bianco che il mancato versamento da parte della Chiesa è dovuto “a difficoltà interne allo stato italiano”, imputabili esclusivamente alla nostra amministrazione fiscale. Non c’è dunque alcuna ragione di principio che giustifichi l’esenzione dall’imposta.

La Curia deve pagare gli arretrati insomma, e il conto potrebbe essere davvero salato. Secondo alcune stime, la somma complessivamente dovuta potrebbe aggirarsi sui 5 miliardi di euro, centesimo più, centesimo meno. Cifra che il ministero dell’Economia sembra non voler incassare: dalla sentenza dello scorso novembre, nulla è stato fatto per avviare la macchina del recupero delle tasse non riscosse dalla Chiesa.

Ed ecco che la Commissione Europea è tornata a farsi sentire, con una lettera in cui torna a sollecitare il Ministero del Tesoro italiano affinché riscuota le somme Ici non versate dalla Chiesa cattolica tra il 2006 e il 2011. Nella richiesta, l’Antitrust Ue guidato da Margrethe Vestager, propone anche più strade alternative per individuare “gli aiuti illegali e incompatibili che vanno recuperati” ed aggirare l’insormontabile ostacolo di cui parla il governo italiano.

Le “modalità alternative utilizzabili per quantificare l’aiuto da recuperare” indicate da Bruxelles sono tre:

  • utilizzare le dichiarazioni sull’utilizzo degli spazi presentate dagli enti non profit con la riforma del 2012;
  • imporre a tutti gli interessati un «obbligo di autocertificazione»;
  • prevedere un sistema di «controlli in loco tramite gli organi ispettivi».

Naturalmente l’Antitrust europeo non chiude la porta a possibili altre strade per misurare gli arretrati da recuperare. Ma il ministero dell’Economia al momento non ne indica. E insiste sull’impossibilità di riaprire la scatola del passato.